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IL GIORNO CHE AVREI VOLUTO VIVERE

17 giugno 1970 / Raccattapalle per Italia-Germania 4 a 3

di Lello Naso

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22 agosto 2009

Entro nella fila dei calciatori azzurri, sono l'ultimo, indosso una maglia larghissima e un paio di pantaloncini che mi scendono fin sotto il ginocchio. I miei compagni portano magliette attillate e pantaloncini striminziti. Hanno muscoli guizzanti. Davanti a me c'è Giggirriva. Bellissimo. Le spalle statuarie sembrano uscite dalla matita di Tanino Liberatore. Usciamo dal tunnel degli spogliatoi, attraversiamo la pista. Appena calpestiamo il prato dell'Azteca, Riva si gira a guardarmi. Divento piccolo, sempre più piccolo, minuscolo. Guardo dal basso un filo d'erba gigantesco. Mi sveglio urlando: gooool! La bocca impastata, le ossa doloranti, il cuscino stretto tra le braccia.

Solo quando sogno di essere stato il raccattapalle di Italia-Germania 4 a 3, Città del Messico, semifinale dei Mondiali del 1970, riesco a guardare la partita fino alla fine, al triplice fischio dell'arbitro dopo i tempi supplementari. Con gli azzurri a saltare in mezzo al campo e poi a crollare come birilli, sfiniti di fatica. Li guardo da lontano un po' brillo, con la testa che gira e le endorfine in circolo.

Quelli che il 17 giugno 1970 avevano appena finito la prima classe dell'asilo, Italia-Germania 4 a 3 l'hanno vissuta così. Un meraviglioso incubo da cui mille e mille volte avrebbero voluto liberarsi, ma da cui nessuno è riuscito a uscire. Noi, in fasce nei meravigliosi anni 60, teenager o poco meno negli anni 70 dell'impegno. Noi nell'età ideale per essere tormentati dai racconti di fratelli maggiori, cugini e amici. Noi che da lì a poco avremmo dovuto berci d'un lungo sorso gli anni 80 dei Duran Duran e dei Righeira, dei pantaloni di pelle nera e dei camperos. Che, per espiare, avremmo dovuto vedere e rivedere al cinema, in televisione e in dvd, il film Italia-Germania 4 a 3 e ascoltare a rullo Mina cantare la formazione di quell'eroica Italia, riserve comprese: «Niccolai, Niccolaaaai ha giocato un'ooooora».

Non è male vedere la partita da bordo campo. C'è la seccatura di correre dietro al pallone calciato fuori, ma le azioni si svolgono vicine. Si sente il portiere che urla: mia! Il rumore del calcio sul cuoio del pallone: rotondo e morbido nei passaggi, secco e seguito da un sibilo nei tiri a rete. La formazione la capisci prima di tutti gli altri, negli spogliatoi, quando il magazziniere ti dà le istruzioni per raccattare la palla e vedi i giocatori che fanno il riscaldamento con il pallone (lo stretching non era stato ancora inventato). Gioca Mazzola. Rivera, sento dire al massaggiatore, entrerà nel secondo tempo. Ci sarà ancora la staffetta. Il ct Valcareggi non si è schierato né con l'una né con l'altra metà d'Italia.

Per il resto è tutto confermato. In campo vanno gli stessi undici che hanno passato a stento il primo turno battendo la Svezia 1 a 0 e pareggiando senza segnare con l'Uruguay e il fragile Israele. Albertosi, Burgnich, Facchetti; Bertini, Rosato, Cera; Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva.

Dall'altro lato i tedeschi, favoritissimi. Hanno eliminato nei quarti di finale l'Inghilterra campione uscente rimontando due gol negli ultimi minuti e vendicando l'onta della sconfitta di quattro anni prima in finale a Wembley con il gol fantasma di Hurst generosamente convalidato ai padroni di casa. Inglesi campioni, tedeschi sconfitti. Disattesa, per la prima e unica volta nella storia, la definizione che qualche anno dopo avrebbe coniato il centravanti inglese Gary Lineker: «Il calcio è quel gioco in cui si va in campo undici contro undici e alla fine vince sempre la Germania».

Tedeschi fortissimi, panzer. Italietta vittima sacrificale, destinata a continuare la serie di sconfitte ai Mondiali dopo i trionfi di Vittorio Pozzo nel '34 e '38.

Inizia timida l'Italia. D'improvviso, in un'azione che sembrava destinata a spegnersi nel nulla, si accende la luce. Ottavo minuto: Boninsegna tenta un triangolo con Riva. La palla sbatte su un tedesco e ritorna al centravanti dell'Inter: botta di sinistro dal limite, dritto per dritto. Il pallone si infila a mezz'altezza alla destra di Maier «inutilmente proteso in tuffo», come avrebbe detto Nando Martellini in telecronaca.

Mancano 82 minuti alla fine. Inutile dare addosso a Valcareggi: lo stesso pensiero è venuto all'Italia intera ferma nella notte davanti ai televisori in bianco e nero. Resisteremo 82 minuti? Sembra proprio di sì. Albertosi, scattante portiere campione dell'Italia di provincia, prima con la Fiorentina poi con il Cagliari, sembra insuperabile. Para tutto. Respinge. Devia in angolo, una volta proprio dalle mie parti che raccolgo la palla e gliela restituisco con calma. Facciamo tutti catenaccio. Albertosi respinge su Overath, elegante mezz'ala dal compasso lungo. Devia, con uno spettacolare colpo di reni, su Grabowski, aletta veloce e ficcante. Rintuzza Gerd Müller faina dell'area di rigore.

Dove non arriva lui ci pensa Bertini, faticatore di centrocampo che in spaccata spedisce sopra la traversa davanti a due tedeschi pronti ad affondare il colpo.

  CONTINUA ...»

22 agosto 2009
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